di Paolo Russo
Castello dei destini incrociati o giardino dei sentieri che si biforcano? Un po’ l’uno, un po’ l’altro, in fondo. Al suo interno se ne sono sentite così tante e diverse tra loro. Dal susseguirsi tradizionalmente affanna-to di quanto agenzie e promoter, mercato e artisti hanno avuto bene o male da offrire. Il Tenda insomma una sua propria identità rock in senso stretto, non l’ha mai veramente posseduta. Ha fatto da casa ad un mucchio selvaggio assolutamente trasversale, da Umberto Balsamo ai Motorhead, passando per Laurie Anderson, De Andrè e Simply Red, tanto per restare tra pop, rock e dintorni. Tutto e il contrario di tutto, a seconda di astri ed estri olimpicamente indifferenti, e non poteva essere diversamente, a progetti di qualche respiro o a una qualsiasi forma di direzione artistica. Il Tenda come contenitore, nel senso televisivo del termine. Per il teatro il solo fatto di esistere è stato origine e certezza irrevocabile di quel destino. E non è per riattaccare coi soliti piagnistei, ma in una città endemicamente incapace di creare spazi per la musica, il semplice fatto, appunto, di esistere ha trasformato il Tenda in un protagonista malgrè soi. Un Teatro senza qualità, un posto buono per tutte le stagioni, eppure la storia/le storie del Teatro Tenda appartengono anche alle nostre vite di appassionati mangiatori di musica. Che in vena di confessioni son qui disposti a riconoscere qualcosa di veramente rock alla proverbiale scomodità della tenda, alla sua sorprendente inadeguatezza. Ripensando a questi anni di concerti in lungarno Aldo Moro, sull’onda di una innegabile malinconia generazionale, vien quasi da essere grati agli inevitabili tubi di quello scatolone da musica. Potevi sederti praticamente dovunque, il suo tubo non mancava mai. E che dire delle sedie, autentiche macchine da tortura, o della pavimentazione, interna e esterna, meglio (peggio) se in una serata di pioggia. O della eterna, dantesca processione alla cassa, che nel fluire dei lustri non ha mai visto premiare i suoi sforzi con il pur meritato raddoppio del suo esausto sportello.
Come dimenticare poi di citare l’indomabile acustica, capace di uccidere qualsiasi impianto e tecnico del suono? C’era in effetti, a ben pensarci, un qualcosa di realmente rock, un’inspiegabile aura off in quel tenda barricadiera per caso e latitanze politico-culturali. Solo che allora, giovani e distratti, non ce ne eravamo accorti. […] Anzi, ora che le nebbie della memoria leggermente si allontanano, viene in mente che quell’incontro con Fabrizio De Andrè e la sua bottiglia di scotch avvenne in una roulotte parcheggiata accanto alla tenda. Il musicista genovese era in tour con la Premiata Forneria Marconi. La congiunzione di due lune che diede i suoi buoni frutti con un bel disco dal vivo, registrato tra l’altro proprio durante il trascinante concerto fiorentino. Ma il Tenda ha visto e sentito crescere praticamente tutti i grandi della musica italiana, da Battiato e Vasco Rossi che in anni lontanissimi incontravano sulle rive dell’Arno le prime folle consistenti, presagio di successi a molti zeri. Così come Baglioni e Vecchioni che nel ’79 debuttarono al Teatro Tenda. E, ancora, come non ricordare Pino Daniele, una Nannini, Fossati, gli Skiantos, Guccini, Dalla e De Gregori, Venditti, Renato Zero, Moranti e il Carboni di Bologna, che sotto la tenda cantò nell’85, quando era un bel nessuno, per poi ripetersi nel ’90 davanti a baraonde di ragazzine eccitate e commosse. […..]
E poi la musica dei fuori confine, i tanto acclamati stranieri che tra novembre dell’85 e aprile dell’87, arrivarono al Tenda, come Bob Geldof, Level 42, Simply Red, Matt Bianco, etc. Tenda poi come posto ideale per un’eccezionale finale del Rockcontest: una giornata di ressa allegra e gloria per tutti. Con la tenda felice ad accogliere quella sarabanda da circo rock, per la quale andava tutto bene, tubi compresi. L’importante era esserci e farsi sentire, gruppi e fan. Noi continueremo a volergli bene per le ragioni del cuore fin qui esposte.