di Giuseppe Vigna
Non è il luogo deputato del jazz, non è accogliente e fumoso come ogni jazz club che si rispetti, e nemmeno il suo bar è in grado di soddisfare le richieste del jazzfan da cartolina. Eppure, inevitabilmente, il Teatro Tenda si lega con le sue attività alle storie del jazz a Firenze. Gli anni del Tenda raccontano anche l’avventura della musica afroamericana in città, seguendo tra alti e bassi gli umori del pubblico, l’accoglienza festosa riservata ad alcuni artisti, e gli orientamenti del jazz, dalla musica di ricerca, la musica “creativa”, alla fusion contemporanea, spettacolare e elettrica che ha trovato nel Tenda il suo palcoscenico. Nelle cronache dell’ultimo jazz non pochi sono gli appuntamenti, le rassegne importanti, ospitate in tendoni, bastano gli esempi di festival come Moers e Saalfelden, quasi che la Tenda riesca a evitare l’ufficialità di un teatro ritenuta non propria del jazz. Del resto il passaggio obbligato dai raccolti club a spazi più grandi, visto l’interesse del pubblico, ha reso necessaria la ricerca di nuovi posti per la musica, e per alcuni eventi il Tenda si è dimostrato indispensabile a Firenze. L’affetto per il posto aumenta poi tra i ricordi e la memoria. Il Teatro Tenda fu inaugurato nel 1978 ed erano tempi in cui il jazz e la musica improvvisata vivevano una stagione felice e creativa, ricca di nuovi fermenti sonori.
La rivoluzione del “free-jazz” degli anni sessanta aveva indicato sentieri aperti per il futuro della musica afroamericana e i suoni si orientarono ora verso mille differenti possibilità. Si delineavano nuove figure, il jazzista come improvvisatore istantaneo per la musica in totale libertà, come compositore, vicino alla tradizione colta europea, come rielaboratore, reinventore della sua tradizione musicale in un affascinante rapporto con il passato. Era lo scenario musicale del jazz nei primi anni del Tenda, si realizzava un’utopia sonora e il pubblico reagiva con consistente interesse. I grandi eventi del tempo erano proposte che oggi sarebbero facilmente liquidate come “difficili” o ancora peggio “insopportabili”.I ricordi personali si legano alle code all’apertura del Tenda per il concerto del trio di Anthony Braxton, l’entusiasmo del pubblico per presenze come quelle del sassofonista Steve Lacy, del violinista Leroy Jenkins, musicisti che difficilmente oggi attirerebbero la stessa quantità di pubblico e vengono ospitati in spazi più raccolti del Tenda. Questo è forse il dato più importante del Tenda, l’essere stato a Firenze il posto che ha ospitato alcuni dei concerti più belli in una stagione che ora in Italia pare dimenticata dal pubblico e dai promoter.
[…] La storia più recente del jazz al Tenda segnala gli orientamenti successivi. I concerti restano sempre di gran prestigio, ma spesso si tratta di leggende viventi del jazz, McCoy Tyner, Elvin Jones, Chick Corea, nomi ormai rassicuranti per il pubblico, presenze costanti di tutti i cartelloni jazz. […] Il Teatro Tenda fu così un palco di prestigio per numerosi artisti jazz, dal batterista Art Blakey a Max Roach, da Ornette agli Steps del vibrafonista Mike Manieri. […] Si diceva della stagione felice del Tenda, con la sua tradizione jazz oramai persa per chissà quale motivi, forse di botteghino, ma oggi, perché non tentare di ripercorrere di nuovo quella strada? Nella programmazione dedicata alle musiche nuove, ancora vitali e consistenti nel pianeta, manca un festival a Firenze in grado di offrire una selezione adeguata, ma soprattutto uno stimolo per il pubblico. Perché non tentare proprio, di nuovo, al Saschall? […] Si diceva della stagione felice del Tenda, con la sua tradizione jazz oramai persa per chissà quale motivi, forse di botteghino, ma oggi, perché non tentare di ripercorrere di nuovo quella strada? Nella programmazione dedicata alle musiche nuove, ancora vitali e consistenti nel pianeta, manca un festival a Firenze in grado di offrire una selezione adeguata, ma soprattutto uno stimolo per il pubblico. Perché non tentare proprio, di nuovo, al Saschall?